Editoriali e Interviste, News

Ripartire insieme grazie alle tante anime dei territori

di Aldo Bonomi  Microcosmi – Il Sole 24Ore

Sono tempi ansiogeni, di bollette del gas e del tenere assieme senso e reddito dei lavori. Per combattere l’inquietudine si sussurra: «Ripartiamo assieme». Con un “patto” territoriale dei giorni nostri nel Pinerolese, territorio cerniera tra valli alpine (Chisone e Germanasca, Pellice, Pinerolesi) e metropoli imperniato su Pinerolo, 35mila abitanti. Un territorio che paga lo spopolamento delle valli e l’assottigliamento dell’apparato industriale, che consegnano alle istituzioni locali i lasciti delle diverse e concatenate crisi che hanno esteso il campo del disagio economico e sociale. Ma che vanta tuttora presenze industriali, multinazionali, imprese locali storiche e tessuto molecolare sotto sforzo di manifattura e servizio. Che ha lasciato forti vocazioni associative, cooperative e sindacali, imperniate sulla duplice matrice religiosa (cattolica e valdese) e operaia, con ricorrenti dialoghi tra queste anime.

Tracce di comunità testimoniate dal denso reticolo di associazioni (160 nella sola Pinerolo), realtà mutualistiche, come la Soms storica – prima in Italia – che organizza il Festival del mutualismo e la mutua nata del 1996 che ha oggi oltre 4mila soci e opera nella sanità integrativa. Qui nel 2019 viene sottoscritto, dal Consorzio Pinerolo energia con capofila la public utility locale, Acea, e i sindacati, un Patto per il lavoro. Il Consorzio era nato per favorire l’acquisto di energia a costi ribassati delle imprese e conta 80 soci. Questa rete, a fronte delle crisi aziendali, è stata riusata per nuovi scopi. Il Patto, alla luce delle «crisi del tessuto produttivo» e della necessità di «ricostruire luoghi di confronto e indirizzo», impegnava in percorsi di «sviluppo produttivo, infrastrutturale, turistico, sociale». Indirizzi fattisi più urgenti con la crisi pandemica, che ha spinto altri soggetti, a partire dal Comune di Pinerolo, a promuovere il programma «Ripartiamo Insieme». All’iniziativa aderiscono numerosi altri comuni e unioni di comuni, imprese, reti di terzo settore, agenzie funzionali e di servizi (Cciaa, Asl, Agenzia del lavoro, servizi sociali), enti formativi, Diaconia valdese, Diocesi. L’attività è articolata in gruppi di lavoro, che coinvolgono il welfare per i cittadini e l’occupazione, lo sviluppo economico, turismo, trasporti, pianificazione territoriale, fundraising. A due anni dalla nascita, la coalizione ha realizzato alcuni progetti d’impatto, come il reimpiego di 50 persone in esubero da parte di aziende del territorio e istituito un Osservatorio sul lavoro. Utilizzando i fondi europei gestiti dalla Regione ha elaborato una Piattaforma di welfare a governance pubblica (We-Pin). Il Tavolo turismo ha favorito la convergenza degli enti locali (circa 50) intorno al progetto di rilancio di un bene storico-culturale come il Forte di Fenestrelle (nella Val Chisone), con la sua candidatura a Patrimonio Unesco e un piano di valorizzazione a medio-lungo termine. Risultati resi possibili dal convergere di alcuni attori in grado di interpretare in modo dinamico il loro ruolo: un’impresa di servizi pubblici che non si propone solo come distributore di utilità e riscossore di bollette, un sindacato che guarda oltre le mura dell’impresa, un’amministrazione locale attenta e proattiva, una rete laica e religiosa di servizi di comunità.
È probabile che questa buona pratica incontri inciampi e bersagli mancati, ma chi ha esperienza di territorio sa che i benefici di questi progetti eccedono i risultati misurabili, e vanno cercati nel surplus di riconoscimento cooperativo, relazione, concerto che sedimentano (quel “capitale sociale” di cui quasi nessuno parla più). E sa anche che per potersi riprodurre e durare nel tempo, devono essere riconosciuti come soggetti effettivamente dotati di facoltà progettuale e “politica” – nel senso alto del termine – dalle istituzioni di livello superiore. I flussi che nella stagione del nuovo «capitalismo politico» stanno ridisegnando i rapporti tra poteri sovranazionali, centrali e territoriali, sembrano estromettere dal gioco dello sviluppo la prospettiva fondata sulla propulsione autonoma delle comunità. Che interesse potrebbero destare, nella geopolitica di potenza che impatta sui prezzi degli input di produzione e del denaro, i tentativi locali di ricostruire parziali condizioni di controllo sul proprio sviluppo? Al più, questi potrebbero apparire residui di stagioni in cui il «progetto locale» godeva di riconoscimento, anche nel mondo intellettuale.

Le crisi del 2008 e 2011, il salto pandemico del 2020 e l’ombra proiettata dalla guerra, hanno ridisegnato la scena, certo, trasformando i territori in meri luoghi di trattamento delle esternalità, o per converso, alla ricerca di benefit distributivi. E tuttavia i luoghi “contano”, sia quando sono sussunti (per usare un vecchio linguaggio) nella geografia del valore in base al loro apporto o alle risorse estraibili (risparmi, consumo, spazio, nude vite al lavoro), sia come bacini di rancore convertibile in valore politico-elettorale. Non dimentichiamoci delle vite minuscole che sussurrano: «Ripartiamo assieme».

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