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La frammentazione del capitalismo molecolare artigiano

di Aldo Bonomi Microcosmi – Il Sole 24Ore

Crisi e transizioni non sono mai un fatto solo economico. Ce lo mostra il caso dell’artigianato: blocco sociale, non mero settore produttivo. L’artigianato è normato da una legge che risale al lontano 1985, mai come oggi sfidata nei suoi confini dall’evoluzione antropologica e socio-economica delle molecole. Prima una società dei produttori spiazzata dalla ristrutturazione globale di filiere sempre più verticalizzate e dall’ascesa delle big firm del capitalismo delle piattaforme, poi Covid-19.

La crisi del 2008 ha fatto da spartiacque, innescando un calo di imprese e lavoro che non si è più fermato, soprattutto nelle costruzioni, nei trasporti, nelle filiere manifatturiere, la cui selezione darwiniana parte ancora prima del 2008 e impatta la pandemia. Si è aperta una faglia tra l’economia e la costituzione «formale» dell’artigianato sancita per legge: la crisi scoraggia l’apertura di nuove imprese, ma queste sono per lo più in settori a scarsa presenza artigiana, mostrando un difficile rapporto tra artigianato e società terziaria. Il declino dell’artigianato ufficiale tuttavia oggi convive con una estensione dell’artigianalità come metodo trasversale di produrre in nuovi settori che rimangono esterni alla qualifica artigiana. Statistiche e rappresentazioni registrano una scomposizione del blocco sociale del capitalismo molecolare lungo un asse verticale (declino/ascesa) e un asse orizzontale (vecchia/nuova artigianalità), con il prodursi di diversi artigianati, frammenti sociali e antropologici oltre che produttivi.
1 Una larga fetta che scivola verso il basso, fatta di lavoro autonomo di prima generazione e di micro-impresa tradizionale, di lavoro a minore qualificazione;
2 Un neo-artigianato dei servizi in crescita, organizzato spesso in forma di artigianato-polvere a partita Iva, lavoro autonomo di seconda generazione, che va da professioni ad alta qualificazione fino ai servizi operativi all’impresa e alla persona;
3 Una piccola industria artigiana, uno strato ristretto ma qualificato e selezionato di Pmi manifatturiere, capaci di scalare la catena del valore e gestire il salto tecnologico inserendosi nelle reti globali.
4 Un lavoro autonomo di terza generazione guidato dall’algoritmo, esito di scomposizione e remotizzazione del lavoro nell’epoca del digitale e di autonomia e controllo del proprio lavoro a cui rimanda il termine artigianalità.
Appare una pluralità di artigianati e di vie all’artigianalità, una scomposizione trainata dall’ambivalenza tecnologica e umanistica tra personalizzazione e automazione e dal riorganizzarsi del rapporto tra sfere della produzione e della riproduzione/circolazione delle merci e dei servizi che il quadro legislativo non riesce più a interpretare.

Ciò che connota l’artigianalità più del criterio dimensionale è l’irriproducibilità di una parte delle conoscenze, che le nuove forme di macchinizzazione “4.0” possono potenziare non solo sostituire. Il modo artigianale riguarda tantissimo i servizi alla persona che richiedono quelle componenti di relazionalità, di cura del rapporto, di personalizzazione che caratterizzano l’etica oltre che l’antropologia dell’artigianalità. Se importante è il sapere incorporato, poco importa che questo sapere si riproduca in un modello incentrato sulla produzione diffusa manifatturiera, come nell’epoca di ascesa dei distretti quando fu definita la legge-quadro del 1985, oppure che si riproduca attraverso altre modalità più tipiche di una società in rete che spesso integrano la simultaneità con la prossimità.

Più che i distretti osserviamo le Città prossime del libro di Cristina Tajani, assessore con le deleghe all’orizzontalità molecolare del lavoro, del commercio e alla moda e al design che ha seguito a Milano il declino e l’ascesa del disfarsi e farsi della vecchia e nuova artigianalità. La città fordista aveva marginalizzato nel contado L’uomo artigiano (Sennett), quella post-fordista l’ha incardinato nelle città distretto, la servitizzazione delle città fa riapparire la moltitudine delle donne e gli uomini artigiani del loro destino. Qui, accompagnando le politiche, la Tajani coglie l’essenza e l’ambivalenza del carsico ritorno dell’artigianato in città a far bottega con la partita Iva dei servizi e dei saperi. Scomponendo e ricomponendo la moltitudine dell’andare in città ci dice che «città è sostantivo femminile» che «avanzano gli innovatori sociali» in un lavoro buono da ceto medio dei servizi con tanti che arrancano in una innovazione da disperazione che chiedono risposte a un bisogno di innovazione. Solo includendo questa orizzontalità artigiana dei servizi fatta di ibridazione tra digitale e prossimità sarà possibile dar senso e gambe nelle città prossime da percorrere in 15 minuti auspicate da Cristina Tajani.

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