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Le città distretto nell’era dell’incertezza

di ALDO BONOMI Microcosmi – Il Sole 24Ore

Nella turbolenza generale, in molti guardano a come stanno attraversando la metamorfosi i fondamentali della nostra economia. Tra questi i distretti, isole di un arcipelago di connessione tra il capitalismo di territorio italiano e le filiere internazionali. Banca Intesa nel suo Monitor ne ha messo in luce la profondità della caduta dovuta all’impatto del Covid (-19,8 % l’export sul primo semestre 2020) e poi la flessibile capacità di recupero con la riapertura. Una sorta di ritorno a studiare i punti fermi della nostra economia condivisa anche sul territorio: come a Carpi, storica capitale di uno dei distretti più antichi e più studiati, il tessile da tempo evoluto nella moda.

Proprio a Carpi, l’amministrazione comunale ha promosso un percorso nel quale economisti, sociologi, rappresentanti delle parti sociali e delle imprese, banche locali, terzo settore ha provato a riflettere non solo sugli impatti della pandemia, ma sulla discontinuità evolutiva necessaria e sulle politiche utili a completare il salto del distretto dal primo post-fordismo solo manifatturiero, a una economia della conoscenza globale in rete che riguarda da vicino anche il capitalismo di territorio. Con un ascolto ampio, al centro è la presa di coscienza della città-distretto, di provare a gettare le basi per riprogettare il rapporto tra economia e società, mettendo a fuoco anche le faglie sociali prodotte dalla ristrutturazione selettiva del tessuto d’impresa avviata già prima di Covid-19. Un lavoro in cui c’è il tentativo di una comunità di andare oltre i fondamentali, mettendo fuoco i due passaggi che abbiamo di fronte: innervare produzione e società di conoscenza globale, assemblandola però con il saper fare locale, creando quello che Franco Mosconi chiama l’ecosistema della formazione e spingendo le imprese a incorporare creatività, comunicazione e saperi pregiati di accesso ai mercati, come scrive Massimiliano Panarari. Utilizzando la faglia della pandemia come acceleratore del salto a un secondo post-fordismo, in cui è importante padroneggiare saperi, reti e organizzazione propri dei due vettori di metamorfosi la sostenibilità e la digitalizzazione. Nel mio linguaggio è il salto della città-distretto alla piattaforma produttiva: qui è la discontinuità. Perché è la città che può rappresentare il motore di una discontinuità che crei legame sociale, non lo consumi. La sfida a me pare è che ciascuna città ritrovi la sua anima, perché se l’economia e la tecnologia corrono, la società non è l’intendenza che automaticamente seguirà. Per questo è stata positiva la coralità territoriale dell’ascolto.

Se si guarda all’Emilia Romagna, la sperimentazione di logiche di piattaforma è già evidente, ad esempio nel sistema dell’automotive, in cui alla rete della Motor valley e delle politiche pubbliche si è agganciata la componente della ricerca e formazione dei saperi con l’accordo tra le eccellenze della motoristica e le quattro principali università regionali (Muner), con gli investimenti sull’elettrico delle supercar della joint venture sino-americana Falk-Silk Ev per spingere l’evoluzione sulla frontiera verde e dell’economia del dato delle filiere, le sperimentazioni sui sistemi di mobilità delle città. Carpi ci induce a pensare che un tassello importante sia l’aggancio delle città-distretto alle piattaforme regionali. Soprattutto la costruzione di una rete delle città-distretto allargate, accanto alle città medie.

Per affrontare la transizione del lavoro che abbiamo davanti, serve una progettazione strategica che lavori sulla transizione dell’anima territoriale, di una coscienza di luogo in ebollizione nello spazio delle tante città-distretto da mettere in rete. La metamorfosi distrettuale è anche nella composizione sociale del lavoro autonomo di seconda e terza generazione. È un tassello fondamentale anche del Patto per il Lavoro, ne tenga conto l’assessore Colla che l’ha promosso a scala regionale. Proprio nella dimensione spaziale delle città-distretto diventa necessario riconnettere la transizione economica e funzionale con la transizione sociale e culturale, con una prospettiva di rigenerazione della società di mezzo: quella che io chiamo una geocomunità. Non a caso la Fondazione Democenter di Modena ha realizzato una ricerca su “Innovazione sociale, modelli e paradigmi tra Emilia ed Europa”. Perché è l’articolazione urbano-territoriale il nodo centrale, non solo in termini di servizi quanto anche di riconoscimento di inclusione e cittadinanza, con la capacità di città che non sono propriamente città medie, ma possono riuscire ad attrezzare il territorio di connessioni e funzioni efficaci. Una dimensione importante anche per innovare, attraverso il coinvolgimento di un’impresa capace di sviluppare metriche di contabilità territoriale oltre che aziendale, proprio quella produzione di beni pubblici territoriali che sappiamo sempre più necessaria in un mondo segnato dall’incertezza ambientale oltre che economica.

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