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Verso una Milano attenta ai bisogni collettivi

di ALDO BONOMI Microcosmi – Il Sole 24 Ore

Il tema della metamorfosi delle città e in particolare di Milano, è importante per capire come il Paese si ricostruirà. Tema rilevante, solo si pensi al ruolo di centri motore del capitalismo dei flussi che le città hanno giocato fino alla pandemia. Da studioso dei territori, non sono convinto che le grandi città abbiano chiuso il loro ciclo, ma che dovranno – questo sì – ripensare la loro morfologia sociale, urbanistica, dei poteri, le loro scelte e le traiettorie di crescita. In particolare a Milano la pandemia ha acutizzato la contraddizione tra la crescita verticale di una città dei flussi e le faglie di una composizione sociale terziaria che vive processi di polarizzazione sociale ed economica. L’impatto del lockdown sull’economia degli eventi, della cultura, del turismo, la remotizzazione del lavoro, non hanno prodotto solo mobilità meno congestionata, ma anche effetti di sfarinamento del terziario di servizio che circonda, alimenta e sorregge la verticalità della grande organizzazione, dei grandi servizi collettivi. Parlo di una nebulosa-pulviscolo di ristoratori, baristi, parrucchieri, commercianti, lavoratori dello spettacolo, precari del lavorare comunicando, gestori di discoteche, proprietari a cottimo con i camioncini della logistica, addetti alle pulizie in false e vere cooperative e i tanti sommersi nell’economia informale. C’è il rischio che la parte del capitalismo molecolare urbano meno inserita in filiere verticali scivoli nella condizione di un frammentato “volgo disperso”, moltitudine del disagio molecolare.
E poi che impatto avrà il sovraccarico di funzioni che la remotizzazione digitale di lavoro e servizi scarica sulla dimensione privata delle famiglie? Per evitare l’esplosione di una insofferenza con striature luddistiche, come in parte è stato nel caso dei gilet gialli sull’asse città/territorio, nel caso in cui la sostenibilità non incorpori la questione della polarizzazione sociale. Qui si pone un grande tema di progettazione urbana e sociale per rafforzare la produzione di beni pubblici. Oltre che centro direzionale e dell’innovazione tecnica, la città potrebbe essere motore di innovazione politica-culturale. La poliarchia dei poteri cittadini, dall’Università alle reti, dalle Fondazioni alle rappresentanze e al sociale fino all’istituzione comunale, la comunità larga che costituisce la città, ha radici e struttura forti e la capacità di costruire una matrice umanistica e democratica che promuove una nuova stagione regolativa e di redistribuzione del valore che le tecnologie di trasformazione della vita sociale in dati e servizi/innovazione, oggi consentono di produrre.

Per questo credo che l’aspetto da curare non sia soltanto la capacità della città di ripensare il proprio welfare, per includere la marginalizzazione degli ultimi che la pandemia ha esteso. Si tratta anche di intervenire sullo scivolamento verso il basso di secondi e penultimi lungo la scala sociale. La sfida per le élite e i corpi intermedi della città è invece ripensare a una economia che oltre alla ri-accensione dei grandi motori del capitalismo delle reti, sia orientata ai bisogni collettivi come casa, cura, ambiente e servizi di corto raggio per soddisfare una domanda locale, magari senza produrre lo sfruttamento a base algoritmica della nuda vita della marginalità urbana. Anche perché la metamorfosi accelerata dalla pandemia non produce soltanto disgregazione, ma indurrà una probabile crescita di nuovi ceti tecnici e professionali pubblici, privati dentro e fuori le imprese, nelle funzioni cerniera tra pubblico e privato, espressione della centralità di “industrie” riproduttive essenziali come salute, istruzione, ambiente, abitare, neo-industrie urbane concentrate nelle aree metropolitane estese. È una composizione sociale di nuovi ceti medi, tutta da mappare, che può anche fare da base sociale e quadro intermedio di una nuova forma di governo metropolitano che a Milano potrebbe trovare occasione di sperimentazione.

Oltre al tema della sua composizione sociale, c’è un altro campo di riflessione importante per la città. Milano coincide ormai da molto tempo con la sua piattaforma urbana estesa, anche se il più recente ciclo di crescita ha accentuato una polarizzazione tra economia della città centrale e delle piattaforme territoriali lombarde. La pandemia dà a Milano l’urgenza di un senso nuovo di sé e delle sue relazioni con i territori, guardando forse con più convinzione a una Lombardia e a un capitalismo medio padano policentrico, composto di città medie e piattaforme produttive che hanno consolidato reti e connessioni su scala europea. Un sistema umano e sociale oltre che infrastrutturale che rappresenta una parte demograficamente dinamica e che ambisce a estendersi. Milano ha come destino non la competizione per risalire la classifica delle città globali, ma essere rete di sistemi territoriali per competere innervati da distretti, medie imprese e piattaforme: deve chiedersi se essere capitale della megalopoli padana oppure città che si relaziona in orizzontale con le città intermedie in una logica di servizio, capace di esercitare una funzione larga, mediando tra l’Europa e il Mediterraneo.

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