News

Il futuro passa anche dal capitale dei territori

Abbiamo bisogno di divulgatori della sostenibilità e del digitale come opportunità per entrare in una nuova epoca

di ALDO BONOMI Microcosmi – Il Sole 24Ore

Certo siamo in un salto d’epoca. Non sarà un caso che si evocano le lunghe derive della nostra storia di popolo. Dalla ricostruzione postbellica, anche se le macerie rimandano ai corpi da salvare, al piano Marshall evocato per il Recovery Fund europeo. C’è chi aggiunge fiducioso che sarà ben più dotato di risorse di allora. Due immagini che evocano contemporaneamente fatiche, sacrifici e doveri nel ri/costruire il non più e progetti e diritti per accedere alle opportunità del non ancora. Qui siamo, in un tempo sospeso tra dover essere e attesa che attraversa i territori.

E allora per capire, facciamola un po’ di microstoria sul come si è formato il capitale territoriale. Paese agricolo e delle officine, da lì si è partiti per ricostruire. Con tanto Iri, che oggi chiamiamo Cdp, abbiamo costruito tessuto industriale e reti, dalle cascine siamo migrati verso l’impresa o industriosi e sommersi nei sottoscala, abbiamo fatto impresine così come dopo imparando in fabbrica, abbiamo fatto fabbrichette proliferanti. Con un saper fare contestuale da lavoro autonomo di prima generazione, abbiamo fatto condensa della fabbrica diffusa nei distretti industriali e distretti commerciali andando in città. Era il capitalismo di territorio, poche grandi imprese più sul modello Fiat che Olivetti, un po’ di reti autostradali da nord a sud, un po’ di fordismo e tanto postfordismo di flessibilità territoriale da inclusione di ceti medi ai tempi della economia delle nazioni.

Come ci ha raccontato Giorgio Fuà con creatività opportunistica abbiamo «coltivato settori poco bazzicati o tutti da inventare complementari allo sviluppo promosso dai settori chiave dello sviluppo mondiale». Ma la creatività opportunista non è bastata nella globalizzazione. Nel riposizionarci nel sistema mondo, nel ricollocarci nei flussi globali, abbiamo stressato storie di vita e di impresa formatesi con l’antropologia della prossimità in difficoltà verso il salto della simultaneità del produrre per competere non più con saperi da capitalismo molecolare o distrettuali, ma innestando saperi formali e reti di saperi nelle piattaforme produttive da imprese 4.0. Qui eravamo in lenta metamorfosi problematica e selettiva iniziata formalmente con la crisi dell’economia globale, dove come un fulmine a ciel già cupo, si è abbattuto il flusso pandemico Covid-19. Accelerando in pochi mesi la metamorfosi, costringendo a prender coscienza della crisi ambientale e della simultaneità dall’analogico al digitale, dalla prossimità alle remotizzazione. Parole chiave per chi non lo avesse capito come diritto di accesso al nuovo piano Marshall. Era avanguardia di questo dover essere quella moltitudine al lavoro per rendere adeguata ai tempi la creatività opportunista del fare impresa evoluta in lavoro autonomo di seconda e terza generazione nella terziarizzazione da partita Iva o come prestatore di servizi nella crisi del welfare e rispetto ai padroni degli algoritmi come lavoratori della conoscenza scambiata per avere senso con forme di lavori intermittenti e a termine.

Paradossalmente come certificano i recenti dati Istat, sono più di un milione quelli rimasti senza lavoro nella nebulosa del lavoro a tempo determinato e intermittente. E sono per lo più giovani a proposito di next generation, senza rappresentanza nell’orizzontalità sociale. La microstoria che ho prima tratteggiato dovrebbe insegnare che come siamo stati in grado di ricostruire, includere e rappresentare il volgo disperso dalle campagne al capitalismo di territorio, oggi il salto d’epoca, rimanda alla crisi ecologica e alla conoscenza globale in rete per un umanesimo industriale, ambientale e digitale che segna il confine tra non più e non ancora.

Molto dipenderà dal come ci metteremo sul confine: aspettando il Godot dei fondi o ripartendo dal capitale territoriale. Andando per territori da parte di Regioni e città che più di altre fanno i conti con la metamorfosi, sento delineare un patto per il lavoro – lavori. Mi par più che urgente scavare e mobilitare la coscienza di luoghi che hanno memoria del passaggio dalla bottega al capannone alle città distretto sino a piattaforme urbane regionali con cui ci siamo mangiati territorio, qualità ambientale e città mai come oggi da rigenerare come magneti di conoscenza diffusa. Disegnando cosi un arcipelago di prossimità da cui progettare e andare in Europa per tornare a Itaca. Sarà un viaggio lungo da fare assieme. Allora, nel passaggio dalla cascina alla fabbrica un visionario come Olivetti sperimentò operatori di comunità divulgatori del passaggio dal contado alla città. Oggi, promuoverebbe operatori di comunità divulgatori della sostenibilità e del digitale come opportunità per entrare in una nuova epoca.

Works with AZEXO page builder