Editoriali e Interviste, News

La crisi incombente che la politica non può ignorare

La prospettiva di un autunno di scosse sociali rende urgente un lavoro di ascolto di chi opera sul territorio al fianco dei più deboli

di ALDO BONOMI Opinioni – Il Sole 24Ore

Ricominciamo a cercare tracce di territorio cercando di scaricare a terra il “webinare” che simula le inchieste di prossimità. Ho seguito un’iniziativa promossa dalla piccola Fondazione Transita voluta dall’imprenditore Pasquale Carrano. Per questo, animati nel remoto da Carlo Borgomeo, siamo partiti dalle esperienze reali nel sociale di Fondazione con il Sud, volando sino alla Caritas di Milano poi interagendo con l’agire fondazionale più a nord di Assifero.

Durante Covid-19 la comunità di cura ha raccolto ampi riconoscimenti per ciò che ha saputo porre in atto nell’emergenza sanitaria e anche, come volontariato e terzo settore, per aver raggiunto la filiera degli invisibili. È stato un grande riconoscimento sulla scia di una retorica comunitaria amplificata quanto effimera e insidiosa anche per chi sta sul fronte del margine sociale, pensando di essere qualcosa di più di una buona notizia dentro il flusso della comunicazione. Sono parole che interrogano il primo e il secondo welfare. Il primo come medicina di territorio e il secondo come nebulosa di orizzontalità sociale che produce capitale sociale nella prossimità. Quindi, partendo dallo scomporre e ricomporre i flussi e le retoriche della comunicazione, il sociale muto ha preso parole utili per capire il welfare che verrà. Che a ben vedere è una delle eredità di Covid-19 che volano in alto verso i flussi europei dei Recovery Fund. Perché ci si chiede come e quanto arriveranno a alimentare le filiere degli invisibili. Partendo più dalle buone pratiche che dalle buone notizie, ci si è confrontati se conterà di più essere bravi a compilare bandi, aspettando Godot sempre lì in basso. Oppure, chiedersi se essere dentro e con i bisogni di una composizione sociale in sofferenza, l’essere militanti del sociale, non può essere solo patente caritatevole, ma è questione politica come sostiene il presidente della Fondazione con il Sud.

Spero che la politica non aspetti per capire il malessere sociale largo che ci anticipano i numeri della crisi economica che si fa sociale. Per questo occorre riconoscere e riconoscersi oltre l’emergenza, nel valore del terzo settore, partendo da un welfare da rifondare e da una pubblica amministrazione spesso assente o disfunzionale, imparando dal secondo welfare. Che non è la ruota di scorta per l’esternalizzazione dei servizi al massimo ribasso. Può essere un agente di sviluppo nei cambiamenti del cosa e del come produrre, nel fare impresa e non solo per il welfare aziendale, ma anche per l’abitare. Purché non lo si consideri solo come un semplice attore di contenimento delle esternalità della nuova normalità, può svolgere un ruolo attivo nel disegnare sostenibilità, green economy e green society. Cosi come durante il lockdown con gli “angeli del digitale” ha maieuticamente accompagnato gli analogici in difficoltà a usare le parole del tecnocene che avanza. Questione che rimanda alla metamorfosi non solo del comunicare, ma del lavorare coniugando senso e reddito, evitando lo scambio diseguale, che ha sempre attraversato il terzo settore. Scenario che si va delineando nella digitalizzazione delle forme dei lavori, agili, smart a casa tua, in rete quindi presentati pieni di senso, ma con quale reddito e con quali tempi e ritmi…

Occorre colmare lo iato tra remotizzazione e territorializzazione dei lavori, tra chi lavora comunicando e chi nel sociale e nella prossimità. Per questo ritengo siano questioni del terzo settore un “agire sindacale” un fare sindacato di comunità che tenga assieme i lavoratori dell’ultimo miglio e del sociale con il lavoro agile, remotizzato e a domicilio. Da qui il mio ragionare di una comunità di cura larga che non è fatta solo di terzo settore e quindi di una politica di alleanze con un sindacato che si fa attore di cura, con una rappresentanza delle imprese in metamorfosi che fa welfare aziendale territoriale e ha cura dei nuovi modelli di sviluppo. Interroganti anche la finanza a quel che leggo in un intervento del presidente Cesare Bisoni su Riparti Italia: «Occorre lavorare in modo sinergico con le fondazioni di origine bancaria per sostenere i soggetti del terzo settore… che possono svolgere un ruolo strategico nel rilancio dell’economia italiana». Forse strategico è troppo, ma dà senso al ruolo politico evocato da Borgomeo per il terzo settore: disegnare e costruire una società di mezzo adeguata ai tempi che ci aspettano. Quelli che verranno dopo l’estate con il rimescolamento della composizione sociale, il previsto calo dell’occupazione e la chiusura di tante micro attività. I primi a esserne investiti saranno gli attori del sociale chiamati a dare buone notizie. Non basterà. Se non si ascolteranno i soggetti sociali che con orecchio e piedi sul territorio decodificano rumori e scosse sociali. Che possono coagularsi in rancore senza la mediazione di conflitti negoziabili da una politica e da un’economia inclusiva e di redistribuzione di senso e reddito.

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