Editoriali e Interviste

Identità lombarde da cui ripartire

di ALDO BONOMI Microcosmi – Il Sole 24Ore

Nella faglia segnata da Covid-19 riappare la riflessione sulla weberiana etica del capitalismo. Che va ben oltre il tema aspro sulla riapertura delle fabbriche e la nudità della salute dei corpi al lavoro. Così come l’esplosione della rete come forma immunitaria di lavoro remoto e di comunicazione ha posto il tema “l’innovazione obbliga“. Temi troppo grandi nel mio tornare a raccontare vite minuscole di capitalismo di territorio.
L’etica del capitalismo mi era stata evocata dal leggere una comunicazione di Confartigianato imprese di Milano Monza Brianza titolata: #iopagoifornitori #impresaresponsabile dove dentro la faglia territoriale di Covid-19, si stigmatizzavano i comportamenti poco corretti di chi, invocando la emergenza, non pagava i fornitori. Ci si spingeva oltre il richiamo etico, spiegando che nella faglia il primo problema era sì la liquidità, ma anche il non capire che cosi entrava in crisi la filiera, mettendo anche in stallo la piattaforma produttiva e la circolazione, non solo delle merci e dei servizi, ma della fiducia. Che, per tornare a Max Weber e allo spirito del capitalismo, è alla base del calvinismo capitalista. Nulla che sorprenda di questi tempi in cui, anche guardando al dibattito europeo, di quello spirito del capitalismo si è perso traccia, volato nelle alchimie finanziarie e nella faglia tra Europa del burro ed Europa dell’olio, tra cattedrali gotiche e terre mediterranee…
Per capirne gli effetti forse serve tornare, in tempi di sfiducia da immunitas, là dove Covid-19 ha colpito duro, nella città infinita lombarda tra i Brambilla della Brianza. Mi ci sono inoltrato dialogando con Brambilla Enrico, segretario della Confartigianato di quei territori di molecole imprenditoriali: 65mila imprese, di cui 33mila individuali, 22mila artigiane, più la nebulosa di 30mila partite iva, per poi arrivare a Milano con le sue 306mila imprese. Mi racconta di una microrappresentanza dei piccoli sotto stress nel lavorare da remoto perché, ai tempi della sfiducia e della paura dilagante, giocoforza ci si rivolge a ciò che resta della rappresentanza per capire annunci, proclami, decreti su decreti per cassa integrazione, aiuti e finanziamenti per non fallire, domande all’Inps per partite Iva… Mi fa notare che in questo cercarsi assieme nelle incertezze vi è anche un riscoprire il valore del rappresentarsi al di là del burocratico fare paghe e contributi di un tempo. Purché si sia in grado di scomporre e ricomporre i numeri prima elencati e capire che lì ci stanno persone racconti e bisogni di chi è quasi sempre ai margini o ultimo nelle filiere del produrre per competere.

Numeri che chiedono rappresentanza nelle nuove differenze tra fisico e analogico e digitale tra immateriale e fisico tra mondiale e locale; tutte soglie da ricostruire nella faglia Covid-19. Ben l’80% di quei numeri sono molecole produttive ferme nel tutti a casa. La minoranza rimasta al lavoro che sembrava margine, gli ultimi degli ultimi, sono diventati essenziali, dalle imprese di pulizie stressate a innovarsi per sanificare uffici e fabbriche o al trattamento di rifiuti contaminanti, sino all’emblema dell’evasore, idraulico o elettricista mai come oggi importante per manutenere case mai tanto abitate. Vite minuscole che inducono al ragionare del cosa sarà delle reti lunghe delle piattaforme produttive che incorporano la subfornitura in filiere. Da qui il ragionare della filiera del mobile brianzola legno arredo-creatività-design e il rimando sine die del Salone del mobile, piattaforma globale di Milano città anseatica che mette al lavoro migliaia di piccoli bar, ristoranti, Airbnb; città della moda per il tessile, e territorio agricolo ed agroalimentare intorno. Milano città che pensava di non fermarsi mai, ma anche città della Ict del lavorare comunicando in smart working, anche questo selettivo, garantito nei grandi gruppi, incerto per la nebulosa di partite Iva al lavoro su commessa.

Pensando ai tanti analogici artigiani, il Brambilla Enrico si interroga sul come accompagnarli a essere tutti smanettoni, ad esempio pensando al loro rapporto con le banche deputate, pare, a erogare con garanzia statale misure di sostegno a imprese e lavoratori. Tutto avverrà certamente non con tempi svizzeri e con agenzie bancarie al lavoro in remoto, come se non fosse bastato al brianzolo analogico il doversi confrontare non più con il direttore della banca, ma con l’algoritmo del rating. Ci diciamo che nella incertezza dei flussi globali e finanziari, nella faglia di Covid-19, converrà ripartire a tessere partendo dalla flessibilità operosa e pronta al cambiamento della fabbrica diffusa del lavoro artigiano e del capitalismo molecolare per rafforzare e adattare le reti corte di prossimità e di solidarietà. Ci siamo ritrovati a ragionare della Lombardia motore economico colpito da Covid-19 e del riapparire, partendo dalla sanità, dello stantio dibattito tra centralizzazione e regionalizzazione. Forse non è tempo. Se vogliamo ragionare di identità lombarda, direi di ripartire da quelle due identità: una di donazioni, che ha permesso la realizzazione dell’ospedale in Fiera a Milano; l’altra di territorio, dell’associazione degli alpini e di 250 artigiani al lavoro gratuito che hanno realizzato un ospedale a Bergamo. Due identità che stanno in una: l’identità di relazione.

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