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Nell’isola che non c’è (del bergamasco) speranza di integrazione

di Aldo Bonomi  Microcosmi – Il Sole24Ore

Ti prende un senso di spaesamento nel ritrovarti in una serata di caldo giugno invitato a commentare un cineforum a Ponte San Pietro in mezzo all’isola. Isola che non c’è se non come metafora spaziale del territorio in mezzo tra il Brembo e l’Adda pullulante di rondò e capannoni che si ingoiano i nomi di ciò che resta dei paesi. Spaesato ti riposizioni tra Pontida e Bergamo e il casello di Dalmine. Sei in quella isola prodotta dall’eruzione del vulcano del produrre la lava dei numeri delle imprese della pedemontana lombarda, tracciata dal capitalismo delle reti tra Malpensa e Orio al Serio. Mi chiedo se l’amico Roncoroni del Cda (Consorzio distribuzione alimentare), che mi ha invitato, vuole usare il cineforum come luogo e momento di coscientizzazione per i temi del lavoro e del fare impresa.

Il cinema ha avuto un ruolo di coscienza critica riflessiva negli anni del boom economico e dell’assunzione di una coscienza di classe e potrebbe essere usato per capire lo sboom dei capannoni e il vivere, abitare e lavorare nel triangolo dell’isola che non c’è. Invece, mi sono ritrovato in un asilo. Proiezione del film Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi in un ciclo da cineforum sulle seconde generazioni, sorelle e fratelli dei 50 bambini in quella comunità educante, dove convivono 14 etnie: il meelting pot delle famiglie di quel paesotto snodo tra Pontida e Bergamo, e sottolineo Pontida, di 12mila abitanti di cui un 20% immigrati. Luogo emblematico per capire l’impatto dei flussi nei luoghi che cambiano economicamente, culturalmente ed antropologicamente. Al centro del paese, dove c’era la mitica impresa tessile Legler, famiglia svizzera che fece impresa e comunità operosa dal tardo 800 per tutto il 900, oggi l’acqua del Brembo raffredda i circuiti energivori del data center europeo di Aruba. Pur avendo sperimentato con Legler, la formula Migros del supermercato, oggi è un paese da desertificazione commerciale, circondato dai mega centri commerciali di Bergamo. Pare avere come destino di essere luogo di incontro della moltitudine messa al lavoro nel distretto dell’isola dove, per dirla con Max Frisch, «cercavamo braccia e sono arrivate persone». Per fortuna che l’asilo ha tenuto botta con i suoi numeri di speranza per il nostro inverno demografico. Da ente morale Scuola per l’infanzia Principessa Margherita 1867, Donazione del conte Moroni, sino ad oggi divenuto nel 2023 ente del terzo settore animato da Piermauro Sala. Nel suo cortile attrezzato per la proiezione si radunano, presentato da tre giovani di seconda generazione, due ragazze una del Burchina Faso e l’altra del Marocco come il ragazzo, con i loro desideri su come attraversare il presente. Sono tante le famiglie dei bambini, i parenti, le sorelle e fratelli delle quattordici etnie che seguono la storia amara e pasoliniana di Alì che cerca di mangiare futuro in quel di Ostia, metafora del mare dell’isola che lambisce Bergamo. E poi il dibattito. Va ben oltre il voler saperne di più di Alì e i suoi coetanei. Diventa una serata interrogante famiglie, comunità locale ed istituzioni sul tema del confronto sulle forme di convivenza e sulle nostre e loro identità. Tema urticante se affrontato senza partire dal presupposto che in quell’asilo dell’isola della comunità che viene, si confrontano identità deboli in transizione tra il “non più” del come era e il “non ancora” dei 50 bambini dell’asilo. Quelli dell’isola periferia di Bergamo e distretto produttivo con il cubo di Aruba, un po’ bergamaschi, un po’ lombardi, un po’ europei in divenire e un po’ tanto incerti e impauriti in una globalizzazione a pezzi che parla ed urla di guerra…. Quelli delle quattordici etnie con identità, lingua, religione lasciate, che si confrontano giorno dopo giorno nella diaspora del migrare nel darsi identità sincretiche, date dal ciò che si lascia e ciò che si incontra, appena rappresentate dalla storia cruda di Alì che “voleva” gli occhi azzurri. Credevo di dover parlare di imprese, invece mi son ritrovato a discutere di famiglie in metamorfosi, di istituzioni locali con l’assessore e la consigliera rumena Adele Zeng del comune e delle forme di convivenza della società che viene.

Tracciando un filo nel tessere e ritessere la disperazione che si fa speranza: la disperanza, come ci insegna Marco Rossi Doria animatore del progetto fondazionale “Con i bambini”. Possibile, partendo non dai fondamentalismi dall’una e dall’altra parte, ma dai fondamentali dell’asilo che si fa scuola che fa comunità nel divenire società. Sperum per dirla in bergamasco, avendo capito che l’imprenditore Roncoroni in quell’asilo ha iniziato. Molto dipenderà da quanto gli asili si metteranno in mezzo all’economia e alla politica.

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