Dalla città distretto alla città funzione
di Aldo Bonomi Analisi – Il Sole 24Ore VeneziePost
Per chi fa ricerca socio-territoriale è sempre difficile sfuggire al fascino dell’essere nelle polarità dove si fa la storia raccontando chi vince e chi perde. Difficile commentare e far racconto con metodologie da ricerca tiepida, (Alquati) quelli che stanno in mezzo alle lunghe e sempre più accelerate derive territoriali. Complimenti sia all’urbanista che al giornalista che si sono inoltrati nelle terre di mezzo del lento declinare cogliendo i sussurri dell’Italietta provinciale e della crisi del ceto medio per sua antropologia poco abituato al conflitto da ricerca calda. Basta vedere come si affronta il grande tema della glaciazione demografica lì, dove vive metà del paese facendo esodo per i figli e lamento del non si trovano più operai per la macchina ingrippata dei distretti l’altra meta produttiva, mentre noi inseguiamo solo le percentuali, drammatiche ma relative del -6,6 delle nuove terre dei vinti delle aree interne o celebriamo il +1,6 del terziario metropolitano.
La ricerca tiepida scompone e ricompone la parola chiave territorio. Nella sua ambivalenza: terra come crisi ecologica, territorio come costruzione sociale. L’urbanista, evitando il facile racconto delle terre alte ed il loro fascino di salvezza indotto dalla pandemia, scava nella devastazione del consumo di suolo dell’antico adagio del casannone, villetta-capannone-nanetti in giardino e BMW in garage. Ricordo di aver incontrato Lanzani in due epicentri emblematici, la sua Brianza e Sassuolo. Alfieri si inoltra nella crisi di quel modello produttivo che fece scrivere all’allora direttore De Bortoli un editoriale di elogio delle piccole imprese. Scava nella rottura di quella “intimità dei nessi” (Becattini) che aveva fatto condensa portando nel lessico economico alla De Rita città distretto come la mitica Prato, Cantù, Manzano, Carpi… inseguendo il fordismo tardivo che si faceva capitalismo molecolare. Fine di una epoca che si è mangiata territorio per dirla con Lanzani e dell’Italia delle 100 città e delle città distretto nell’epoca delle città mondo che pare aver preso anche la geografia politica nel suo ridisegnare il territorio partendo dalle aree metropolitane. Ma la ricerca tiepida induce ad accompagnare lo scomporsi e ricomporsi della composizione tecnica e produttiva e la composizione sociale di ciò che avviene nella metamorfosi territoriale. Evoluta in piattaforme territoriali che non sono distretti più grandi, anzi, stressati in reti di subfornitura selettiva da medie imprese leader che se guardate oltre le mura dell’impresa rimandano alle economie fondamentali dell’abitare, del vivere, curarsi, formarsi e lavorare nelle città snodo che ridisegnano spazio di posizione e di rappresentazione rispetto alle aree metropolitane.
Basta inoltrarsi nella via Emilia tra Milano e Bologna passando per Piacenza, o nella pedemontana veneta vista da Padova o sull’asse Napoli-Bari-Taranto arrivando a Grottaglie per capire rinominando le città snodo non più per distretti, ma per funzioni. Certo molto dipenderà se nel rileggere il territorio si adotterà non solo la ricerca calda della coscienza di classe, ma quella tiepida e foriera di nuovi conflitti della coscienza di luogo. Che fermenta assumendo crisi ecologica e metamorfosi del produrre e lavorare sia nei piccoli comuni dell’abbandono, nelle città distretto in crisi selettiva, nelle città medie stressate nell’essere provincia e nelle aree metropolitane. Il che rimanda ad una domanda di politica sociale e territoriale non da ricerca tiepida. Se si vuol evitare che i sussurri delle terre di mezzo e dei ceti medi diventino rancore, impariamo a raccontare non solo le grida dell’ipermodernità, ma anche quelli che vengono messi in mezzo.