Editoriali e Interviste, News

L’ape operosa di Symbola e i nuovi paradigmi della coesione territoriale

di Aldo Bonomi  Microcosmi – Il Sole 24Ore

Si è svolto a Mantova il XXII seminario estivo della Fondazione Symbola. Seminario che si ripropone mai in maniera rituale scavando nella crisi del divenire autopropulsivo e aspirazionale della società italiana. La Fondazione facendo leva sull’incorporazione del limite nell’economia e nella società, partendo dai margini delle “ciliegie e delle nocciole”, ripartendo dall’italico scheletro contadino, ha cercato di rappresentare nelle varie edizioni del seminario l’avanzare di una modalità del tenere assieme competitività e coesione incardinata nelle lunghe derive dei territori, nelle derive accelerate della crisi ecologica e del digitale, cercando di delineare un’identità in relazione con il futuro. Andando oltre l’ostacolo della sfiducia, del senso di inadeguatezza che si rispecchia nella profonda crisi demografica, antropologico segno di incertezza e disagio nel “mangiare futuro”.

In questo percorso pluri-decennale la carovana di Symbola come una ape operosa ha impollinato partendo dai piccoli comuni, distretti e filiere produttive. Non più “popolo dei sussurri” della crisi ecologica, ma sempre più comunità larga che prova a tenere assieme il “non più riflessivo” della crisi di visione che attraversa la società di mezzo con il “non ancora” delle eccellenze che competono nel mondo. Facendo coesione territoriale oltre le mura dell’impresa per superare il soffitto di cristallo del modello di sviluppo verde che sgocciola opportunità, ma non si fa ancora traino della società. Il che rimanda al rapporto problematico tra coesione e competizione, tenendo conto che veniamo da un lungo periodo nel quale l’imperativo del competere nell’economia dei flussi si è compiuto per selezionee non per inclusione, generando paure sociali, rancori, ma soprattutto ricerca di protezione dal declassamento e fenomeni non trascurabili di “uscita”. Non è detto che la prospettiva della conversione ecologica non ricalchi lo stesso spartito selettivo ed estrattivo, proponendosi come motore di crescita dentro un campo regolativo molto strutturato in cui i “limiti” anziché farsi “senso comune”, sono incorporati “de iure” nel corpo sociale generando “anticorpi corporativi.” Rischiando di farsi nuovo carburante di conflitto molecolare tra vincitori e vinti del verde, così come avviene sul crinale del digitale che si fa intelligenza artificiale. Da qui anche lo sforzo ecumenico di Symbola di portare sul palco di Mantova un gran numero di exempla imprenditoriali e istituzionali che non sono più la rappresentazione del margine che si fa centro (la nocciola), ma quella di un centro capace di lavorare sulle giunture funzionali che fanno piattaforma produttiva e sulle giunture sociali che fanno inclusione di prossimità, partendo da una nozione di coesione eticamente ed economicamente orientata in senso “umanistico.” In quel passaggio d’epoca per l’umanesimo industriale in cui non solo “la proprietà obbliga” ma “l’innovazione obbliga.” Per questo nello spazio di posizione di Symbola, non bisogna farsi prendere solo dalla retorica delle eccellenze competitive-coesive-innovative-digitali-green e dal senso di superiorità morale ed economica di quelli che già praticano il “non ancora” in divenire. Tentazione diabolica in tempi nei quali la potenza della sovrastruttura, quella dello storytelling della società dello spettacolo, è in grado di curvare il bastone storto dei processi reali alle esigenze della rappresentazione.
Non di rado rappresentanze degli interessi infragilite e rappresentanze delle passioni protettive cercano di agganciarsi in un abbraccio mortale, incalzate dalla sete di consenso nell’attraversare il deserto della legittimazione. Occorre rimanere “mobilitanti” verso la società e non “doveristi” come sottolinea Realacci, facendo in modo che Symbola continui a stare e a “mettersi in situazione.” Che significa stare in mezzo tra le inquietudini che attraversano il volgo disperso e spaesato che si muove nei “tempi cattivi” della guerra, dei fondamentalismi, dell’immane potenza del negativo evocata da Schiavone nella sua riflessione sul destino dell’Occidente. Inoltrarsi nell’iper-modernità del “non ancora” dell’iper-industrializzazione, delle economie fondamentali legate alla riproduzione come l’abitare, il curare, il formarsi, il lavorare e il muoversi in una ecologia sociale condivisa. Su questi temi c’è da capire come si ricomporrà il binomio competizione-coesione in quest’Italia all’avventura dei tempi nuovi, che verranno solo se avremo capacitazione di fare della coesione sociale la visione condivisa per dire: Noi siamo i tempi.

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