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Sul Terzo Settore va costruito il futuro del Mezzogiorno

di Aldo Bonomi  Microcosmi – Sole 24 Ore 

Con i microcosmi sempre più micro in un cosmo sempre più turbolento e preoccupante potrà sembrare un cercar rifugio in un terzo racconto della società. Parto dal mio ultimo viaggio a Sud in occasione del seminario finale per la Formazione dei Quadri del Terzo Settore destinato alle regioni del Mezzogiorno. Nell’Atlante dell’economia sociale (Caselli), dilata in 150mila organizzazioni con mezzo milioni di addetti con tanto senso e scarso reddito, quella economia fondamentale che, nella crisi del welfare, infrastruttura la vita quotidiana. In tempo di bulimia dei mezzi e atrofia dei fini mi pare utile il racconto della proliferazione dei processi di autorganizzazione ed intervento di questo mondo.

Tre le parole chiave della mia riflessione su quale debba esser oggi la funzione dei corpi intermedi di un Terzo Settore che non viene più dopo il primo e il secondo, ma che deve fare un terzo racconto in grado di mettersi in mezzo tra stato e mercato, tra economia e politica mettendo nel mezzo la società e che si mette in mezzo ad una società dove sempre più domina la potenza dei mezzi inseguita affannosamente. Basta pensare al dibattito sull’Intelligenza Artificiale e alle implicazioni che questo ha sul rapporto tra comunità e community, tra prossimità e simultaneità, paradigmi interroganti chi ritiene che la comunità si fa attraverso i social e contando i follower. Ragionare su cosa significhi tutto ciò è inevitabile, perché è vero che la piattaforma digitale è accogliente ma non bisogna dimenticare che si è difronte al «padrone dell’algoritmo» un padrone reale e non virtuale. Ecco allora che insieme alla parola comunità la seconda parola delicatissima da considerare è istituzioni a cui aggiungere un ragionamento sulle istituzioni di comunità (Esposito).

La proliferazione importantissima del terzo settore che ormai è anche stampella necessaria alla crisi istituzionale-politica e alla crisi di rappresentanza comporta il dover decidere se questo racconto debba «stampellare» queste crisi o delineare una dimensione di istituzioni che vengono avanti a partire dalla rete di relazioni del territorio. La parola comunità da sola non basta, occorre qualificarla. La comunità deve essere una comunità di cura larga, una comunità contaminatrice, poiché essere soggetto-attore delle istituzioni di comunità significa prendere coscienza del venire avanti delle comunità del rancore rinserrate, chiuse, all’opera là dove le comunità di sangue, suolo e religione fanno guerra, comunità impaurite rispetto ai grandi cambiamenti. Certo c’è la comunità di cura (volontariato, associazionismo, terzo settore, cooperative etc.) ma questa non è sufficiente. Se si vuole andare verso un terzo racconto occorre ragionare di una comunità di cura larga che parta dalla voglia di comunità (Bauman) contaminando le rappresentanze tradizionali del ‘900 (sindacati, rappresentanze del commercio, Pmi etc.) e il nuovo terziario delle professioni tra cui «i grandi comunicatori».

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