Editoriali e Interviste, Rassegna stampa

Il salto di paradigma in cui il territorio diventa sistema

di Aldo Bonomi   Microcosmi – Il Sole 24Ore

Mi son sempre chiesto se ci sia relazione profonda tra sommovimenti territoriali e l’apparire sulla scena politica ed istituzionale di un protagonismo di ruolo e governance. Le Regioni italiane si sono ritrovate a Torino per ragionare di infrastrutture e beni collettivi nel loro secondo Festival Nazionale promosso dalla Conferenza delle Regioni. Le sfide radicali del tempo attuale (dalla demografia all’ambiente, dalla geopolitica alle tecnologie) non si affrontano senza rigenerare il capitale collettivo di infrastrutture che tiene insieme la società e l’economia. Alla base è il salto di paradigma dello sviluppo, da un modello tutto centrato sulla catena del valore e sulla fabbrica, la città fabbrica, ad un modello che definisco delle piattaforme produttive, nel quale sono interi sistemi territoriali oltre che filiere e imprese, che competono nella globalizzazione. Le piattaforme produttive disegnano geografie dello sviluppo di area vasta che si compongono non solo di filiere manifatturiere e sistemi di servizi e della conoscenza situati nelle città medie o grandi, ma sono intessute anche da un policentrismo urbano-regionale composto da reti di città-distretto e piccoli comuni, da una poliarchia di autonomie funzionali e corpi intermedi nuovi o tradizionali, nonché da una composizione sociale dai bisogni sociali estremamente diversificati e sempre più orientati ad una forte domanda di qualità della vita e standard ambientali.

Non a caso i nodi della sanità, della manutenzione del territorio e dei lavori sia per trovarne che per attrarre talenti e migranti, dai tavoli di Torino sono subito rimbalzati nella bolla calda della politica. È l’esigenza di tenere assieme questa organizzazione urbano-industriale del territorio che chiama in causa le Regioni e il regionalismo come livello istituzionale intermedio. Oltre ad essere istituzioni rappresentative, le regioni sono geocomunità territoriali in trasformazione. Un nuovo regionalismo ha la sua ragion d’essere proprio nella produzione di una nuova generazione di beni pubblici e lo sviluppo delle piattaforme produttive può rappresentare un nuovo approccio alla politica di coesione e alle politiche industriali.

Un passaggio che le Regioni sembrano aver compreso provando a ragionare come sistema: a Torino si è posto il tema dell’interoperabilità dei sistemi infrastrutturali provando a ragionare anche di sviluppo di schemi regolativi e di policy comuni tra diverse Regioni. Basta pensare per capire, al territorio che va da Torino a Trieste attraversando il triangolo Lombardia-Veneto-Emilia Romagna dove si fa coesione per competere, o all’Italia di Mezzo con forte tradizione di virtù civiche che vengono prima dell’economia, o alla piattaforma tra Campania e Puglia passando per la Basilicata, tutte in metamorfosi mobilitante reti infrastrutturali e nuovo capitale sociale con Calabria e Sicilia che sono confine dialogante nel Mediterraneo. Sono le tre coesioni sociali e territoriali che assieme fanno sistema Paese. Le Regioni possono giocare un ruolo importante di intermediazione tra impatti delle trasformazioni globali sui territori e Stato centrale perché è lo stesso concetto di infrastruttura che sta cambiando natura e funzione rispetto alla questione dello sviluppo. Primo, perché è sempre più difficile distinguere tra funzioni economiche e sociali delle infrastrutture, visto che anche welfare, formazione, qualità della vita sono fondamentali nel rendere i territori attrattivi verso i flussi di persone e capitali. Inoltre, nella nuova economia, le stesse infrastrutture sociali sono sempre più il campo di creazione di nuove industrie.

Siamo entrati in una fase storica che vede l’affermarsi di un capitalismo delle reti sempre più partner e allo stesso tempo potere autonomo con cui rapportarsi da parte di imprese e istituzioni, con le grandi piattaforme globali che non solo abilitano relazioni e flussi, ma sempre più producono l’immaginario sociale (le migrazioni insegnano) e divengono esse stesse infrastrutture e in qualche misura nuove istituzioni. Sia che producano beni intangibili come capitale umano e salute oppure sostenibilità intesa come capacità di riprodurre l’ambiente fisico e naturale nel ridurre gli impatti del cambiamento climatico e consentire l’adattamento delle comunità. Insomma, un nuovo regionalismo incentrato su beni collettivi e modello delle piattaforme che potrebbe vedere la luce non solo attraverso una cooperazione orizzontale tra Regioni, ma anche attraverso una rafforzata capacità di costruire una filiera istituzionale e di policy sempre più integrata tra Città, Regioni, Stato centrale e Politiche Europee.

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