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Comunità concrete per non far franare terra e lavoro

di Aldo Bonomi   Microcosmi – Il Sole 24Ore

Le alluvioni che impattano i territori disseccati dalla crisi idrica offrono spunti che interrogano i limiti del nostro sviluppo. Crisi ecologica e crisi del lavoro sono segnali che si aggiungono ad altri nel comunicarci che le piattaforme produttive hanno toccato il soffitto di cristallo. Anche in territori che abbiamo definito “modelli” come le Langhe e la Romagna. Nel novembre 1994 l’alluvione del Tanaro e del Belbo seminò distruzione e vittime (furono 70) nel Piemonte meridionale. Allora gli operai della Ferrero si erano fatti “angeli del fango” per far ripartire l’azienda. Alba si rialzò presto e riprese il cammino che ne stava facendo un “caso di successo”. Non divenne una company town anche se Ferrero avrebbe tratto vantaggio dall’inurbamento degli operai. Scelse di far viaggiare i pulmini nella Langa per mantenere i nessi tra fabbrica, vigne e noccioleti. Si industrializzava senza fratture per dirla con Giorgio Fuà, nella continuità dei saperi produttivi, mentre altrove si consumava la cesura rurale-urbano.
La Ferrero si è fatta globale senza desertificare la collina, le virtù civiche, l’imprenditoria hanno attrezzato il transito dalla “malora” ai successi del Barolo e del laboratorio critico del cibo innescato da Carlin Petrini con Slow Food. Il mondo del vino si evolse verso l’autotutela, la qualità, il valore collettivo (il consorzio si autodefinì “del territorio” e non più dei vini). Il riconoscimento Unesco al paesaggio, i festival, la ristorazione stellata hanno trainato un boom di visitatori e stimolato il settore dell’accoglienza. Oggi, la contabilità economica posiziona il sistema locale di Alba tra i primi in Piemonte per valore aggiunto pro capite e retribuzioni; il tasso di disoccupazione è stabilmente su livelli “frizionali” o poco più. La ricostruzione pare solo storia di successi. E tuttavia anche Alba si trova oggi di fronte a contraddizioni riproduttive o, se si preferisce, al proprio soffitto di cristallo. Anche qui il territorio fisico, la terra mangiata, nonostante il riconoscimento Unesco al paesaggio, mostra ferite nel consumo di suolo e nella congestione di alcune aree. Con fenomeni potenzialmente devastanti come il possibile tracimare nel sovraffollamento in un territorio con equilibri fragili, e l’ingresso della finanza e dei fondi di investimento nella proprietà dei vigneti, pessimo segnale, verso la gentrificazione dei colli. Nodi e faglie di una ricostruzione dopo il Tanaro a cui si aggiunge lo sfarinamento del lavoro. La nostra cassetta degli attrezzi deve cambiare: i territori dinamici hanno radici sociali solide, mentalità, capacità di apprendere cooperando e competendo, istituzioni, qualità delle relazioni, tutte variabili che i modelli econometrici non possono cogliere. Oggi, come in tutte le piattaforme produttive del Nord, si parla soprattutto del capitale umano che scarseggia, nel senso che il territorio sembra aver esaurito la propria “riserva industriale” di lavoro. Qui come altrove ci si divide su due spiegazioni. La prima è demografica. Vale per tutta Italia, ancor più per il Piemonte che negli ultimi anni ha perso decine di migliaia di residenti in età attiva. Dal 2014 la popolazione non cresce più ed è venuto meno l’apporto della componente estera. Vi sono margini di crescita nei tassi di occupazione, soprattutto femminili, a patto di attrezzare adeguati sistemi di servizi che orientino le scelte delle persone. La seconda spiegazione è culturale, e chiamerebbe in causa l’accresciuta rigidità dell’offerta di lavoro o la preferenza di ampie fasce della popolazione per stili di vita meno condizionati dal lavoro. La sfida riguarda la domanda e la capacità di offrire senso, progetto, gratificazione alle persone. Mentre sulle sponde del Tanaro fa capolino la nuova “malora” dei migranti senza tetto che lavorano a giornata nelle vigne. Credo che il soffitto di cristallo potrà essere superato solo rinnovando il repertorio delle risorse “comunitarie” alla base dello sviluppo di Alba. Il territorio e l’umano non saranno mai solo capitale. Pochi luoghi come Alba, e ci aggiungo la Romagna, dispongono di memoria e capacità per riprogrammare la traiettoria dello sviluppo. E il territorio si è già attivato. Ad esempio, per opera di un nucleo qualificato di uomini e donne d’impresa, lo scorso dicembre è nata la Fondazione Don Gianolio, intitolata al sacerdote che dedicò la sua vita alla formazione professionale, fondando nel 1958 la scuola albese Inapli. La fondazione è orientata alla promozione dei lavori e della formazione, nonché delle condizioni sociali che possono favorire l’inserimento delle persone nell’economia locale. Da qui parte la sfida: dalle tracce di comunità intese non come residui sopravvissuti all’assalto della modernità, ma come propulsori di relazioni capaci di inventare e condividere progetti di territorio. Realizzando comunità concrete alla Adriano Olivetti e Michele Ferrero sui colli e dentro le imprese, costruendo piattaforme sociali ed ecologiche per evitare il franare della terra e del lavoro.

 

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