Editoriali e Interviste, News

La politica dal basso che dà speranza in tempi malinconici

di Aldo Bonomi Microcosmi – Il Sole24Ore

Difficile sottrarsi alla «malinconia» del rapporto Censis. Se poi guardiamo a sud, si fa indugio rassegnato con il rapporto Svimez che segnala il 41,2% della popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale. La “spaccatura” si presenta oggi più come una questione italiana che meridionale. Resta il dato sulla povertà che da solo è sufficiente a indurre rassegnazione senza speranza. Speranza che ero andato a cercare in terra di Calabria, cercando tracce per andare oltre la crisi del welfare state. Secondo i dati Istat 2019 i Comuni calabresi si collocano all’ultimo posto della classifica per la spesa in servizi sociali con 24 euro per abitante. Terra lontana, “terra dell’incompiuto”. Un isolamento che nell’era della globalizzazione e digitalizzazione chiama in causa non solo i ritardi infrastrutturali di tipo hard, ma anche quelli soft e immateriali come ci segnala il 41% delle famiglie calabresi senza pc. Terra di attraversamento nel Mediterraneo e approdo di flussi migratori, ma anche con il porto di Gioia Tauro nodo logistico. Area tra le più colpite dall’agromafia e dal caporalato, fenomeni che generano “rotture” nelle forme di convivenza. La sua geomorfologia da dislivelli tra gli Appennini e il mare ha prodotto i “paesi doppi” e lo spopolamento in un urbano regionale di aree interne e città medie in riposizionamento. Sono convinto che anche là dove appare impossibile vincere l’impossibile, il possibile sia ancora praticabile. Da osservatore di microcosmi ricerco tracce di comunità in itinere che anche in questa terra ho trovato. C’è una parte del tessuto sociale che chiede di resistere e restare, fa cura e operosità al di là della solita rappresentazione: “terra degli estremi, degli errori e delle colpe” invece che “terra del riscatto e della redenzione”. Un lavoro di redenzione, parola loro, che ho ritrovato in Comunità progetto sud, comunità di cura inizialmente stretta e di prossimità, ma oggi dopo decenni di interventi, azioni e progetti, comunità larga in alleanza anche con la comunità operosa come dimostra la nascita del Gruppo antiracket a Lamezia Terme e le collaborazioni formative nate con le imprese e le scuole. È un’organizzazione complessa che ha sviluppato una filiera dei servizi sociali che include l’occupabilità e il lavoro. Partendo dal sociale ha sviluppato e interrogato l’economico. Con il suo trimestrale «Alogon» cerca di dare parola a chi voce non ha, facilita collaborazioni tra società civile organizzata e istituzioni, sviluppando strategie di intervento. I distretti sociali in territori caratterizzati da quei numeri che inducono malinconia sono un antidoto alla paura di non farcela a costruire forme di convivenza, distretti economici e patti per il lavoro e lo sviluppo del territorio. Comunità progetto sud ne è un esempio. Nata dal basso con la partecipazione dei cittadini e degli attori locali, in un centro urbano di medie dimensioni, Lamezia Terme. In connessione con gli altri comuni ha fatto distretto sociale. Corpus centrale fondativo l’Associazione progetto sud che nacque come comunità del movimento di Capodarco di Fermo, per opera di un prete operaio di origine bresciana, Don Giacomo Panizza che negli anni ’70 decise di trasferirsi in Calabria. La sua esperienza da operatore di comunità ricorda quella del triestino Danilo Dolci che a Partinico in Sicilia, organizzò i contadini in “comunità dell’acqua e della diga”. La sua prima innovazione: la creazione di un gruppo autogestito tra persone disabili e no, diventa una comunità in grado di realizzare soluzioni alternative all’istituzionalizzazione e “deportazione” dei disabili calabresi negli istituti del nord. Gli utenti, i giovani volontari restanti e la comunità sono stati accompagnati a guardare l’esistente con lenti nuove per diventare promotori di un sociale e di una sanità diversa. Come “costruttori” del proprio e dell’altrui destino ribaltano l’arcaica credenza dell’essere destinatari di una punizione divina. L’associazione negli anni ha rivolto la sua attività agli “ultimi” attivando i penultimi e i primi. Molteplici i campi d’intervento: dall’agricoltura sociale alla rigenerazione urbana, dalla green economy allo sviluppo sostenibile, dalla diffusione di politiche di inclusione e integrazione alla tutela dei diritti di cittadinanza con la realizzazione di progetti di economia sociale, di contrasto alle mafie e di promozione della giustizia. Ha “gemmato” altre associazioni e cooperative diventando punto di riferimento regionale per la promozione socioeconomica dei territori. Oggi è composta da 172 persone (il 35% ha meno di 35 anni e il 39% un’età compresa tra i 36 e i 49 anni). Un agire sociale fragile che rappresenta un fermento sfidante. Da “gambe e braccia” a una cultura della responsabilità e della partecipazione per accompagnare una nuova cittadinanza e bloccare “l’esodo delle teste” attraverso la restanza. In tempi di malinconia che si fa paura del futuro serve costruire luoghi sociali di decantazione e di elaborazione della speranza. Non è forse questa la politica?

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