Editoriali e Interviste, News

Impresa culturale, impresa sociale e nuova modernità

Sociologia non convenzionale perché lo iato tra l’osso e la polpa non è più solo fatto di differenze territoriali e di numeri, ma di racconti di storie di vite che rendono visibili gli invisibili

di Aldo Bonomi Microcosmi – Il Sole 24Ore

Nel salto d’epoca non esiste più l’altrove nella “nuova modernità” delineata dal libro di Aldo Schiavone, L’Occidente e la nascita di una civiltà planetaria (il Mulino). Titolo tutt’altro che invitante al salto suadente dal locale al globale come ci avverte lo storico delle lunghe derive accelerate: «Le tensioni che stanno accompagnando la mondializzazione dell’Occidente sono ben lontane dall’attenuarsi. Il peso non proporzionato dei principali caratteri della nuova civiltà – la tecnica, il capitale, la democrazia, il diritto – aumenta l’instabilità dell’intera struttura, sbilanciata dal lato dei primi due, tecnica e capitale: una rivoluzione senza uguali, che può avvenire solo nella tempesta». Il libro scava in queste contraddizioni non solo geopolitiche ma “dell’umano”. Con merito sociale usando la storia come grimaldello che rompe il presentismo scavando nell’egemonia tecnofinanziaria, i flussi, disvelando «conseguenze sociali e culturali di portata incalcolabile». Scava nel nuovo rapporto tra capitale e lavoro e nel disgregarsi e nel frammentarsi dei rapporti sociali di produzione. Dedica intere pagine al tema del lavoro ed alla sua civiltà in metamorfosi che corrode capisaldi di democrazia e diritto, le due polarità deboli nel divenire. Mi son ritrovato a raccontare dei nuovi aggregati sociali, Schiavone esita a definirle classi, dei nuovi lavori e la «svalutazione globale delle vite non portatrici di nuova tecnica» destinate a pura massa per il mercato.

Ci aiutano a capire numeri e drammi il «Rapporto annuale» di Federculture e la sociologia non convenzionale di chi opera nel “Rammendare” il margine così titolando un libro sul Lavoro sociale ed educativo come leva per lo sviluppo. Da una parte quelli che arrancano nel fare “Impresa cultura” dall’altra quelli al lavoro nel fare “Impresa sociale” per tessere e ritessere forme di vita ed inclusione delle vite di scarto. Formano carovane desideranti con vocazione a fare i creativi e i lavoratori della conoscenza in alto e vocazione ad agire socialmente con gli ultimi. È utile il rapporto Federculture nel suo darci numeri da sociologia tradizionale delle imprese dove si lavora comunicando. Con tanto di elenco proliferante dei settori codificati con aggiunta di riflessioni critiche sulle professioni e il lavoro “fuori squadra” tra nuove tecnologie digitali e vecchie impostazioni contrattuali per quelli che trovano senso ed aspirano ad un reddito nel farsi interpreti e banditori culturali del nuovo che avanza. Tanta vocazione a cui corrisponde spesso precariato e reddito scarso. Per questo il rapporto si apre ponendo il nodo di uno “Statuto dei diritti dei lavoratori della cultura” e non credo sia un caso che questo venga posto da un nuovo soggetto di rappresentanza come Federculture. Questo il quadro che emerge usando la metafora di Manlio Rossi-Doria guardando alla “polpa” delle dinamiche in atto. «Dell’osso» scrive il figlio Marco coautore con Patrizia Luongo ed Andrea Morniroli della ricerca non convenzionale “Rammendare”. Sociologia non convenzionale perché lo iato tra l’osso e la polpa non è più solo fatto di differenze territoriali e di numeri, ma di racconti di storie di vite che rendono visibili gli invisibili. Per vedere e capire occorre empatia per attraversare l’ombra che i tre autori rivendicano introducendo il lavoro di inchiesta: «L’elaborazione teorica non può prescindere dalla pratica: l’esperienza deve incidere sulla riflessione… Le persone cui sono indirizzate le politiche potranno beneficiarne solo se saranno esse stesse a co-determinare le politiche». Da qui un mio leggere il libro come un altro rapporto sul far cultura nella metamorfosi delle storie di vita che ruotano attorno al luogo della cultura e della formazione del senso di sé: la scuola. Questa istituzione culturale è a rischio di diventare una terra dell’osso. La percentuale di bambini e ragazzi che non raggiunge il livello minimo di competenze era del 44% nel 2019 ed aumentata con la pandemia, è particolarmente elevata tra quanti sono socialmente svantaggiati. Quindi occorre lavorare fuori ed a fianco della scuola per cambiare ed includere l’osso del margine in una cultura del salto d’epoca. Questo rapporto dalle terre dell’osso mostra ciò che scrive Schiavone «la svalutazione globale delle vite non portatrici di nuova tecnica, il loro annientamento qualitativo». I due microcosmi sul far impresa culturale e sociale pongono come urgente il mettere in mezzo il fare società tra potenza della tecnica e della finanza e debolezza della democrazia e del diritto. Mi rimane un interrogativo sospeso tra esclusione ed inclusione: con quale welfare ci accingiamo ad attraversare questo passaggio di civiltà? Molto dipenderà dalla capacitazione di quanti fanno cultura nella testa del capitale e dei tanti che nel margine e con il margine trasformano il silenzio del subire in cultura per cambiare.

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