Editoriali e Interviste

Una ribalta globale per il mosaico del nostro capitalismo

di Aldo Bonomi Microcosmi – Il Sole 24 Ore

Stiamo entrando in un’epoca di fratture, finita la belle époque in cui il mondo poteva apparire come un unico mercato pacificato e in costante espansione. Il flusso della guerra ha occupato ogni spazio della rappresentazione, mostrando il volto di un pianeta solcato da faglie geopolitiche. A Dubai, all’Expo, va in scena un’altra rappresentazione: il mondo come un’intelligenza collettiva che coopera per il suo futuro. Un contraltare straniante, per molti versi.

Qui l’Italia è rappresentata per la prima volta dal sistema delle sue regioni che hanno puntato sul tema della “Bellezza che unisce le persone”. All’Expo abbiamo portato una visione del Paese come un mosaico di saperi, città, filiere, in cui a una geografia di localismo poliarchico del tessuto produttivo, composto di piattaforme territoriali connesse da grandi filiere industriali, si accompagna un sistema delle regioni come sistema della coesione che si “mette in mezzo” tra economie globali e territori.

Un impianto che, tenuto assieme dalla Conferenza delle Regioni che ne articola la voce rispetto allo Stato, non è soltanto amministrativo, ma disegna potenzialmente la geografia di una sfera intermedia; che non è una piramide statale, ma un tempio greco con 20 colonne a sorreggere un frontone statuale che tutto tiene. A tenerle assieme il filo rosso di un umanesimo industriale come attitudine a interpretare la potenza della tecnica attraverso la bellezza, che da sempre ci caratterizza, dal Rinascimento. Con una vocazione storica, oggi forse ancora più preziosa, a mediare tra Oriente e Occidente, gettando ponti tra culture con una logica di globalizzazione a medio raggio.

Le regioni a Expo hanno rappresentato al mondo il nostro modello, un capitalismo intermedio fondato sull’intreccio profondo tra due pilastri: un sistema industriale e manifatturiero che compete nel mondo più che per singole imprese per filiere produttive interconnesse, organizzate in grandi piattaforme territoriali d’area vasta, le nostre smart land, funzionanti come fabbriche a cielo aperto; un secondo pilastro costituito da “campioni nazionali”, gruppi industriali grandi e medio-grandi, che cuciono i legami tra le piattaforme e il mondo. Un intreccio che definisce la mappa dell’economia italiana, nella quale patrimonio ereditato, capacità di alta tecnologia e campi nuovi del vivere umano e sociale fanno da infrastruttura portante dello sviluppo, a volte superando le storiche divisioni tra Nord e Sud.

Ne è un esempio la rete lunga delle scienze della vita che connette le grandi aree metropolitane come Milano o Roma, o le città medie dotate di reti scientifiche e di ricerca come in Friuli Venezia Giulia, alle piattaforme produttive nei territori, come nel Lazio, anche qui con un ruolo di connessione delle politiche regionali. O i cluster del capitalismo delle reti, dalle nuove energie e lo sviluppo del paradigma dell’economia circolare, oggi da declinare secondo logiche di riorientamento della geopolitica energetica, alla rete digitale, fondamentale per proiettare le piattaforme territoriali nell’economia dei dati. Così come altrettanto importante è la filiera dell’automotive e del design industriale, in transizione verso un nuovo assetto di industria della mobilità sostenibile e complessa, articolata nei territori sulla duplice dimensione della grande fabbrica dal Piemonte fino alla Campania e alla Basilicata, e delle filiere della componentistica globale che connettono il Nord delle piattaforme dal Piemonte alla Lombardia e al Veneto fino alle motor valley dell’Emilia Romagna o al progetto della gigafactory in Abruzzo. Articolata per grandi piattaforme regionali è anche la filiera della grande logistica e della portualità, asset fondamentale per un Paese a economia aperta come l’Italia.

A Dubai il capitalismo manifatturiero e delle reti, si sono articolati con il capitalismo dolce che mette a valore il grande capitale del patrimonio artistico e naturale, la biodiversità antropologica del Paese. È l’eredità storica dell’Italia delle cento città, con i borghi e le grandi città d’arte che si articola nei territori con il made in Italy del bello nell’Italia dei distretti industriali della moda, dell’arredo di design, del cibo, e con le culture del cibo e della Dieta mediterranea a unire heritage food.

In questa mappa dello sviluppo, le regioni sono geocomunità territoriali in trasformazione esse stesse, un tessuto intermedio fondamentale non solo per mediare il rapporto tra globale e prossimità. Non solo per sintonizzare il grande flusso del Pnrr rispetto ai reali bisogni dei territori. Speriamo in un nuovo regionalismo di
sviluppo e pace, alzando lo sguardo da Dubai guardando a Kiev. Speriamo davvero facendo delle Regioni in questa fase storica protagonisti e imprenditori politici della pace.

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