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Senso di sè e reddito, l’equilibrio per pochi

di Aldo Bonomi Microcosmi – Il Sole 24 Ore

La grande fuga dal lavoro evoca un esodo che ci sorprende abituati come siamo a ragionare di mercato dei lavori da trovare, più che da cambiare. Solo in base alle turbolenze dei mercati, si mobilitano gli strumenti per l’uscita, cassa integrazione e scivoli quando va bene. I numeri celano, segnalano un funzionamento del mercato del lavoro più fluido in cui crescite e cadute si mischiano. Anche con la faglia tra Nord e Sud sempre più profonda. Visto che il grosso della fuga la si registra soprattutto al Nord, dove contemporaneamente in alcune filiere si è quasi raggiunta la piena occupazione. C’è altro più in profondità, che attiene invece al rapporto tra personale e sociale. Per capire il motivo per il quale si decide di dimettersi o di cambiare: occorre inforcare altri occhiali per vedere l’esodo.

L’esodo evoca l’attraversamento del deserto alla ricerca della terra promessa del lavoro nella terra del latte e del miele, con la speranza dell’ascensore sociale. Un deserto attraversato da due carovane che vanno in direzione contraria anche se entrambe verso la speranza. Una che si dismette dal lavoro cercando oasi dove dissetarsi; l’altra che si mette in cammino lasciando la terra della disoccupazione e del precariato continuato. Senza dimenticare i milioni di giovani neet che nemmeno si mettono in marcia. Le due carovane non si incontrano nel mitico mercato del lavoro perché questo si è fatto sabbia nella frammentazione del diamante del lavoro. Diamante sempre più scheggiato e frammentato perché non tiene più assieme senso e reddito. Il lavoro non è solo ricerca di reddito, ma anche senso e significato del vivere, di appartenenza, di identità e di senso di sé. Non basta più chiedere dimmi che lavoro fai e ti dirò chi sei come nel 900. Quando si capiva anche dove uno abitava e addirittura per chi votava.

Oggi sono tante le domande da porre per capire le carovane in direzione ostinata e contraria: di che genere sei, da dove vieni straniero, quale dimensione del tempo tra vita e lavoro, cosa pensi e cosa senti, e desideri oltre il tuo curriculum? E si potrebbe continuare. Domande spesso senza risposte sia per offerta di reddito, basta guardare ai salari europei ai nostri contratti a tempo e alla gig economy, che per crisi di senso ammantata da una retorica sui nuovi lavori flessibili per molti e in equilibrio tra senso e reddito per pochi. E cosi una carovana cerca oasi di tempo per sé sperando in una terra promessa dove si lavori comunicando, e la tecnica liberi tempo e creatività, libertà dalla fatica con imprese 4.0 e smartworking, e per chi può il prendere una pensione da reddito da integrare cercando per una volta il senso di un lavoro in empatia con i desideri. L’altra arranca nella sabbia verso il miraggio di un reddito per la vita nuda fatta dall’abitare il mangiare il vestirsi lo scaldarsi. Sperimentando uno squilibrio tra pressione crescente del lavoro sulla vita ed effettiva possibilità di salita sociale. Alla passione operosa del “mettersi sotto sforzo”, dove lavoro e rete sociale spesso coincidevano, subentra verso il lavoro un sentimento più freddo e la carovana diventa una comunità del disincanto. Entrambe le carovane nel cammino alla ricerca di senso e di reddito si selezionano in una composizione sociale dove pochi sono i salvati e molti i sommersi e pochi quelli che, iniziato l’esodo, trovano nuovo senso nel lavoro e pochi il reddito per la vita nuda. Manca il luogo di incontro, il caravanserraglio dove si incontrano le due carovane del senso e del reddito. Una volta il luogo era la fabbrica, poi lo abbiamo definito ceto medio, la grande oasi per l’ascensore sociale, che oggi va ricostruito oltre le mura dell’impresa rimettendo in mezzo il fare società tra i salvati e i sommersi, tra chi sta sui flussi degli algoritmi dei lavori e chi li subisce. Questione non solo socioeconomica nella tempesta di sabbia provocata dalla pandemia, ma direi antropologica nell’averci fatto riscoprire il corpo, non solo al lavoro con tanto d’inadeguatezza dei codici Ateco per i sommersi, ma nell’essenzialità della cura di sé e degli altri come tempo di vita. Ci ha fatto apparire anche il miraggio dello smartworking come oasi ove trovare forme di lavoro ibrido che tengano assieme senso e reddito. Siamo tutti nell’esodo, il tema del lavoro non è solo questione giuslavorista e dei codici Ateco da riformare. Interroga il fare carovana per fare società.

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