Per ripensare il territorio alle Regioni servono politiche di piattaforma
di Aldo Bonomi Microcosmo – Il Sole 24Ore
A Venezia il Festival delle Regioni è ormai giunto alla sua quarta edizione, consolidando la sua identità di momento di rappresentazione del regionalismo in metamorfosi e di intelligenza collettiva dei territori. Al centro la riflessione su come ripensare e rigenerare le eccellenze del paese come piattaforma per riposizione l’Italia nel mondo in ebollizione, su quattro temi: made in Italy, cibo e salute, turismo, sport e grandi eventi e città e territori più sostenibili. Le Regioni provano a mediare tra grandi politiche nazionali/europee e territori, facendo da tessuto connettivo per tenere assieme una Italia “Arlecchino” articolata in cento città e mille bacini di saperi locali. Una agorà da cui mi è parso emergere la centralità di tre questioni: l’investimento nelle economie fondamentali, dall’abitare al muoversi, dalla formazione alla ricerca al curarsi, dall’energia al cibo; la centralità delle città medie e l’importanza delle piattaforme/cluster per l’industria.
Le eccellenze sono anche sfide e la prima sfida è l’urgenza di investire in un capitale collettivo trasversale composto sia di infrastrutture che di conoscenza e servizi per tenere assieme capacità tecnologica, capacità competitiva e capacità sociale, città e imprese, qualità della vita e politiche. Le eccellenze non sono singolarità, ma ecosistemi. Quindi non dare per scontato e invece costruire la tenuta del made in Italy come «bene pubblico» e posizionale, che da tempo ha esteso i suoi confini seguendo le reti produttive della globalizzazione a pezzi. Il capitalismo di territorio italiano oggi cerca di riconfigurarsi tra due pressioni: in alto l’affermarsi di un capitalismo tecno-politico globale trainato dall’intreccio tra logiche di potenza, iper-tecnologie e spazio; nei mercati la tendenza globale alla trasformazione del prodotto in commodity, sostegno materiale a piattaforme di tecnologie e servizi dove si trasferisce il valore con il ritorno dei vantaggi di scala. Per sottrarsi a questa morsa, le imprese stanno uscendo dai confini di nicchia e di settore reinterpretando l’iper-tecnologia a partire da design e flessibilità imprenditoriale, come nelle tute spaziali per le esercitazioni degli astronauti create dai brand della moda: sconfinamenti necessari che per essere praticati prevedono però che bello, ben fatto e ipertecnologico si fondano. Il made in Italy si estende ormai dalla space economy al food, magari intrecciando i due: certamente non può limitarsi solo all’iper-lusso.
Da qui la centralità anche per le Regioni di politiche di piattaforma, di cluster che magari cooperano seguendo le geografie delle filiere oltre i confini regionali promuovendo reshoring più di lavoro che di brand. L’attrattività si fonda però anche sulla capacità di investire in beni collettivi: nei tavoli dedicati a cibo e salute e alla sostenibilità di turismo e grandi eventi come motori di sviluppo, proprio questa capacità è stata al centro del confronto. Le Regioni sono importanti per ricostruire una prevenzione sanitaria indebolita dall’estendersi del consumo di cibo processato esploso nella fase pandemica e trainato dal delivery (ma anche dell’impoverimento).
Le patologie croniche influenzate da cattiva alimentazione sono destinate a diventare di massa: dunque investire in prevenzione significa anche garantire la futura sostenibilità del welfare. E anche nel campo del turismo come motore di crescita, il grande tema è sempre più come governare gli impatti allargati sulle economie fondamentali (l’abitare ma anche la congestione, i costi del vivere, ecc.) di un flusso che per lo sviluppo di molti territori oggi è però divenuto imprescindibile. Investire in infrastrutture ma anche trovare nuove forme di sostenibilità finanziaria e di governo dei grandi eventi, è campo di una possibile cooperazione orizzontale tra regioni e verticale con i territori. Infine, al centro delle strategie regionali sulla sostenibilità, la grande questione delle città medie intese come piattaforme che comprendono non solo le città storiche ma la dimensione dell’urbano regionale ad esse connessa attraverso infrastrutture, reti, servizi. Investite da trasformazioni sociali e ambientali una volta limitate alle grandi città globali, le città medie possono essere perno anche per la tenuta delle città-snodo, delle città-distretto, dei piccoli comuni, delle piattaforme manifatturiere. Ma servono politiche di programmazione e pianificazione territoriale che tengano insieme l’urbano-regionale, le città diffuse, intrecciando politiche industriali, sociali, dell’abitare e ambientali, per tessere e ritessere il territorio come costruzione sociale.