Se la civitas sceglie la montagna
di Enrico Camanni LA STAMPA

Dunque la montagna torna a vivere? Non cediamo ai facili trionfalismi. La montagna si muove? Questo sì, e non lo fa per sussulti interni, antiche rivendicazioni o passate nostalgie, ma per rispondere a emergenze e ansie nuovissime e globali come la pandemia, le guerre e il riscaldamento climatico.
IL DOSSIER
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Non sono gli spiantati, gli emarginati e i senza lavoro a cercare rifugio in montagna, specie sulle Alpi e sull’Appennino centro-settentrionale, ma persone sempre più colte e consapevoli, che approfittando di una seconda casa, una rete Internet e qualche conoscenza locale intensificano gli scambi e le trasferte tra la città e la valle fino al punto da diventare “montanari” loro stessi, se il termine ha ancora un significato, fondendo abitudini urbane e montane, il giù e il su, nel quadro di una cultura globale che non si declina più secondo la tradizione o in ossequio ai centri di produzione e potere, ma in base ai luoghi e ai territori. Siamo sempre noi, in ambienti diversi.
Si diventa montanari restando cittadini allo stesso tempo, quando la pensione consente di trasferirsi in una valle o la fibra permette di lavorare da lontano. Si compie il difficile passo se esiste una comunità accogliente, se ci sono le scuole, i servizi e almeno una piazza che risponda al nome, e se non si è costretti paradossalmente a sostituire le nevrotiche fughe domenicali con decine di chilometri di quotidiana automobile per accompagnare i bambini a scuola o gli anziani alle visite mediche. Il gioco vale la candela se la civitas sale in montagna e ne anima gli spazi senza stravolgerne gli ambienti naturali e le serenità esistenziali, che sono una cosa molto diversa dall’emarginazione e dalla solitudine.
Come scrive Aldo Bonomi, la “stagione del risveglio” risponde al disagio e all’inquietudine urbana che sulle montagne possono trovare rimedi naturali e medicine sociali, a patto che la politica comprenda il cambiamento e lo assecondi con le scelte e gli investimenti necessari, dimenticandosi per un momento del turismo di massa che scivola nell’eccesso di turismo, e pensando piuttosto a una montagna da vivere e rispettare, per chi abita su e per chi resta giù. Ammettiamolo senza ipocrisia: a parte le stazioni sciistiche, che si sposteranno sempre più in alto in cerca di neve, la valle abitata di domani sarà la più vicina alle pianure e sarà quella servita da strade e mezzi pubblici degni di questo millennio. Se non vogliamo che il risveglio “green” delle terre alte sia mortificato da una nuova fuga verso la città, non possiamo imporre a chi è disposto a salire sui monti l’eremitismo digitale, il pendolarismo e l’esclusione sociale. Ogni cittadino ha diritto ai servizi essenziali, anche chi sceglie la montagna.